Da mesi le autorità cinesi si stanno scervellando per gestire l’enorme crescita che il Paese ha registrato negli ultimi anni. Negli anni immediatamente successivi alla crisi esplosa negli Usa con i mutui subprime, si è cercato di porre una vasta serie di freni all’economia, nel timore di una crescita “esagerata” soprattutto del comparto immobiliare.
I giri di vite sono si sono concentrati nel settore bancario, al quale sono stati imposti standard minimi di capitalizzazione molto alti e tetti massimi alla quantità di prestiti erogabili. Un giro di vite che, però, per Pechino è stato anche eccessivo, avendo contribuito a far rallentare il sistema nella seconda metà del 2011.
Così lo scorso anno il Pil ha segnato un’espansione del 9,2%, rispetto al 10,4% del 2010.
Per questo, recentemente, il governo e la banca centrale hanno invertito la rotta, chiedendo agli istituti di credito di aumentare la quantità di prestiti. I problemi, però, non finiscono: ora è Ken DeWoskin, direttore del Centro di ricerca cinese di Deloitte, a lanciare un nuovo allarme.
L’esperto, intervistato dall’agenzia Bloomberg, ha spiegato che il quantitave easing potrebbe infatti provocare un’impennata dell’inflazione. E ad essere più colpiti potrebbero essere i beni alimentari, il che costituirebbe un grande problema soprattutto per le fasce meno abbienti della popolazione.
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